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Channel: Mica Cotiche
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Tatuaggi nel tempo

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Conosco un uomo istoriato, è un intero libro il suo corpo, un libro molto complesso, di difficile interpretazione. Quando ho potuto parlargli con più confidenza gli ho chiesto cosa significasse per lui segnare per sempre il suo corpo, mi ha risposto ciò che spesso rispondono coloro che si fanno tatuare "segno su di me cose che per me hanno un significato durevole". Eppure per me i suoi occhi verde scuro e la sua profonda voce che proviene da un corpo minuto, raccontano di lui e lasciano il segno molto più delle sue mille storie colorate.
Per quanto mi riguarda non potrei mai concepire di segnare il mio corpo volontariamente e per sempre, non mi piaccio con un paio di occhiali per più di due anni, figurarsi se accetterei di portarmi a spasso a 70 anni qualcosa che mi piaceva a 20. L'unico tatuaggio che ho invidiato è il piccolo principe con livrea di una mia giovane amica, è delizioso. C'è qualcosa di anomalo in questa nostra società che cancella con furente ossessione tutti i ricami e le storie che la vita disegna sul nostro corpo e contemporaneamente se ne imprime di indelebili. Sul mio corpo anche la vita è stata clemente, non ho brutte cicatrici. Al braccio sinistro porto il marchio di tutte le generazioni prima della mia, il vaccino del vaiolo, alla base del mio mignolo sinistro la mezza luna con i punti che mi furono dati al primo anno di medicina quando mi tagliai con una piastrella durante i lavori di ristrutturazione della cucina dei miei. Il collega del pronto soccorso di allora mi chiese la dinamica del sinistro e mi domandò se facessi la piastrellista, dissi "no studio medicina", mi disse "faresti meglio a fare la piastrellista", non gli credetti allora e forse, nonostante tutto, non gli credo neanche ora. Poco sopra il ginocchio destro una sottile linea bianca segna il punto in cui un chiodo penetrò nei pantaloni di velluto a coste da montagna durante la manovra di scavalcamento di una staccionata. Al braccio destro mi sono marchiata con un braccialettino che si è surriscaldato mentre sfornavo una torta, il braccialetto me lo regalò, per la laurea, il mio fratello in amore, lui se andò, per sempre, ormai diciassette anni fa, sembra ieri se ascolto il mio cuore dove la cicatrice è profonda, il braccialetto si ruppe poco dopo, ma sul mio braccio, e dentro di me, resteranno per sempre.

La Sapienza sto par di....

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Poteva chiamare i parenti di un sequestrato o i poliziotti che gestiscono questo tipo di emergenza, il medico di un Pronto Soccorso o del 118, la Protezione Civile di qualsiasi posto in cui ci sia stato uno degli innumerevoli disastri naturali degli ultimi anni, Gino Strada o un responsabile di Medici senza frontiere, il Comandante della Capitaneria di Porto che gestì la crisi da terra in quella orribile notte del Giglio. Invece no, il genio che ha la cattedra di psicopatologia forense all' università la sapienza (volutamente tutto minuscolo) ha invitato il responsabile di 32 morti per personale cialtroneria, quello che abbandona la nave che va a picco, con la gente ancora a bordo, signor Schettino, il grado glielo tolgo di mia spontanea volontà. Senza un minimo di riguardo per i 32 morti, i loro parenti, i soldi che abbiamo dovuto sborsare noi contribuenti fino ad ora ed il disastro ambientale.
Ora iniziamo a togliere la cattedra ai somari, lo stipendio a questo spregevole individuo che affonda i denti nelle disgrazie altrui per uno sputo di notorietà di riflesso non lo voglio pagare!

TU SEI IL MIO ESSERE A CASA

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.Tu sei del mondo la più cara forma,
figura, tu sei il mio essere a casa
sei casa.

Mariangela Gualtieri





Perché in fondo è questo che hai creato qui, un luogo dove stai comodamente o  ti rifugi per ritrovare pace.


In questo giorno di festa vogliamo dirti GRAZIE




grazie per esserci sempre, per prenderti cura di ognuno di noi come se fossimo il bene più prezioso




grazie per il candore, la meraviglia e la curiosità
che ti fanno guardare al mondo sempre con gli occhi stupiti di una bambina


ma anche per la rabbia e l'indignazione che provi per le ingiustizie e le brutture dell'esistenza,
il tuo sdegno sa essere contagioso e mantiene vivi, non perderlo mai





grazie per i piccoli racconti che scrivi e che fai leggere solo a noi,
non sai quanto fanno bene all'anima, c'è da ridere, c'è da soffrire,
c'è da riflettere, c'è un mondo intero





grazie per il senso di condivisione che è così profondamente saldo in te,
mette in luce la tua generosità e la tua capacità di gioire delle piccole cose
fa risplendere il tuo rispetto per ogni forma di vita




per te oggi siamo tutti qui riuniti e in questa bella tavola apparecchiata di amicizia e affetto (in abbondanza  eh!) 
ti vogliamo augurare tutto il bene del mondo 





spegni questa candelina ed esprimi il tuo desiderio





noi siamo qui a festeggiarti e a dirti

Buon Compleanno Amanda bella!



ed ora inizino le danze.......













Gnomica

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Non eri tu
che amavi
leggere in video
anche le spoglie
più stanche
del mio fragile
pensiero digitato
sulla tastiera?
Illusa eri, io
ti dicevo
(e tu non mi credevi)
che era solo
il rumore dei tasti
a recitare
il meccanismo
del pensare.
Ora lo sai: è
la scienza del limite
il mio orizzonte.
Puoi lasciarmi
affogare
nei torpori di primavera
che svaniscono
al torvo incedere
dell'afa di prima estate.
E non dimenticare
che sempre esiste
un altrove,
che sempre la vita
vive a spese d'altra vita.
Conservati sempre
un pezzo
di quel dove
da consumare
nascosta,
con chi vuoi,
quando l'io
ti sfugge e tu,
divisa,
non sai dove andare
o tornare. O star ferma
per restare intera.
Fino a quando?


Enzo Golino

Capitano, mio capitano

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Io questa cosa che Robin Williams se ne è andato questa notte non riesco proprio a digerirla, perché se ne è andato senza che io potessi dichiarargli tutto il mio amore, io ho adorato da sempre quel faccione dalle mille espressioni in cui brillavano due diamanti di ghiaccio caldo, nessun occhio così azzurro ha mai saputo trasmettere tanto calore; la bocca che eruttava parole velocissime, ma sempre così dirette al cuore; quel sorriso dolce a volte struggente che trasmetteva empatia; un corpo tozzetto ed abbracciabile.


Permettimi quindi di rivolgermi a te direttamente, almeno per questa volta: sono convinta che se riesci a rendere immortali alcuni personaggi, lasci a loro qualcosa di te e se poi tutti quei personaggi hanno quel sorriso dolce e disperatamente umano - cioè fragile, pieno di contraddizioni, vivo - allora è quel frammento di te e non dei personaggi che resterà nel tempo, ora che te ne sei andato, ora che, forse, hai deciso di andartene, capitano, mio capitano

Salva gente

Furto nella metro

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La donna si guarda allo specchio, effettivamente gli occhi appaiono meno cerchiati e stanchi, si sorride di riflesso, ciononostante una vistosa ciocca di capelli è rimasta tra i denti del pettine, eppure lo specialista aveva detto che quel tipo di malattie riaffiorano quando uno è stressato e lei viene da quindici giorni di ferie, e si sente bene: ha dormito e si è riappropriata del suo tempo; la cute tra le ciocche è infiammata, "sono tornata bambina"  -pensa- "ho la crosta lattea", meglio prenderla così.
E' nel piccolo bagno della minuscola casa della cugina di sua madre, ai piedi delle Dolomiti Bellunesi, tra un'ora prenderà il treno di ritorno, sta preparando i bagagli. Non sa perché ma ha portato con sé anche la borsa da lavoro, quasi non riuscisse completamente a staccare la spina, è rimasta lì su una sedia in camera per tutti quei giorni come un monito. Dopo gli ultimi saluti ai numerosi parenti, esce finalmente di casa e dirige verso la stazione della metropolitana, ha con sé tre borse: quella piccola personale alla spalla destra, lo zaino da lavoro color ottanio e un sacchetto contenente una colazione al sacco preparata dalla sua ospite. Scende le scale della metropolitana. Dopo qualche minuto sopraggiunge un convoglio, ma prosegue senza fermarsi, la banchina è gremita, lei si stupisce della mancata sosta e non è la sola a meravigliarsi, qualcuno le rivela che la regione si é trovata costretta a cedere i binari anche ad altre compagnie, per tentare di rientrare parzialmente nelle spese della"grande opera" della metropolitana delle dolomiti bellunesi, finalmente viene annunciato il suo treno ed è proprio in quel momento che un uomo baffuto, più vicino ai settanta che ai sessanta, con indosso una tuta di acetato turchina e blu, scende sui binari, la gente urla inorridita, qualcuno accorre per cercare di riportarlo sulla banchina, si forma una catena umana, anche lei partecipa, riescono a trarlo in salvo. Il treno apre le porte e lei si accorge che nel parapiglia qualcuno ha fatto sparire le sue borse e quelle di un altro paio di soccorritori e l'uomo in acetato blu si è dileguato anch'esso. Sconsolata  ha due certezze: perderà il treno che da Belluno l'avrebbe riportata a casa, data la necessaria denuncia per il furto dei documenti e dei timbri di lavoro e gli strumenti, e non ha con sé i soldi per comprarne un altro. Dopo la denuncia alla stazione dei carabinieri, torna a casa dei parenti per chiedere un aiuto. Trova la cucina in grande fermento, c'è odore di fritto, i ragazzi sono già seduti a tavola, un lato della tovaglia è sollevato e vi sono delle mazzette di banconote di piccolo taglio ben allineate, sotto ognuna di esse una bolletta, il cui importo sono destinate a coprire. La sua parente si stupisce della sua mancata partenza, mentre lei fornisce spiegazioni su quanto accaduto tenta un gesto per coprire il denaro, si vergogna di quei conti al centesimo. La donna comprende che non potrà chiedere il denaro per il nuovo biglietto. Come potrà tornare?
Suona la sveglia, non mi sembrava di aver mangiato pesante ieri sera :(

I love Alto Adige

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Le vacanze in montagna di questo 2014 sono proprio di tutto riposo, se non di noia pura, tra una giornata di pioggia torrenziale e una di sole pallido, pero' io progetto.
Appunto… progetto! Considerato che fare passeggiate nel  fango non e’ la mia massima aspirazione, esamino la cartina e faccio progetti di visite nelle zone circostanti.
L’anno passato sono salita sull’altipiano del Renon, quest’anno  mi sono diretta a nord.
La giornata era, come questa, oserei dire  incerta, nuvole andanti...




ma non mi sono demoralizzata, e sono scesa a valle, appunto in direzione Nord.


Nella mia ingenuità ho pensato che di lunedì dopo Ferragosto, avrei trovato traffico scorrevole, ma non è stato così, in molti avevano fatto il medesimo ragionamento, percio' ho trovato molto traffico sia in autostrada che sulla statale e così il tempo che avevo preventivato come necessario per raggiungere la meta si è dilatato, avrei quasi fatto in tempo a tornare a Milano e invece erano solo 118 km.
Allora dicevo, scendo a valle, a Bolzano mi immetto in autostrada direzione Nord e dopo circa 35 km arrivo a Bressanone, e imbocco la strada che percorre tutta la val Pusteria,  una strada stretta,con una sola corsia per ogni senso di marcia e se si incontrano camion o sprovveduti che devono guardare il paesaggio oppure non conoscono la strada, le code si formano  e non si puo’ fare altro che.. ammirare le montagne o i ciclisti, perchè una bella pista ciclabile affianca la strada statale in molti tratti.
Avevo fatto delle vacanze in Val Pusteria tanti anni fa, ma non ricordavo nulla, per giunta le vacanze erano invernali, e percio’ il paesaggio era comunque molto diverso da quello estivo.
La Val Pusteria, per chi non la conosce,  è una valle molto ampia, così ampia che le coltivazioni sono quelle della val Padana, si vedono campi di mais a destra e a  sinistra, come questi





Per me e' stato strano vedere abeti ai piedi della montagna e poi i campi di mais, magari vedere campi di orzo, segale, ma mais non me lo aspettavo. 

In ogni caso tra un campo e l’altro, e tra una coda e l'altra, ho incontrato questo campanile, con la frase:
Memento omo quia tempus est aurum
f
forse iu calvinisti hanno avuto deglia debti d queste<’

Ma.. forse Calvino aveva adebti in questa valle?

E poi resti di fortezze come questa



Si, in verità in Alto Adige i resti di fortificazioni abbondano, percorrendo l’autostrada da Verona  a Bolzano se ne incontrano molte a cominciare dal Castello di Avio.

Comunque arrivo a destinazione dopo tre ore in automobile.

Arrivo e vedo questo colore ...

è ben vero che io sono abituata bene, visto che ho questo dietro casa...


cioè il lago di Carezza, ma questo


vale la gita, guardate che colori


e questi

e questi

e questi




questo lago è diventato molto famoso da un paio di anni, è apparso il televisione in una serie a puntate su Rai 1, ma sono certa che molti lo conoscevano già per la sua bellezza, e' il lago di Braies, un altro gioiello delle Dolomiti, e' circondato dalle montagne, ma ha un immissario  e un emissario, non è un lago alimentato da sorgenti sotterranee come il lago di Carezza, che purtroppo si va prosciugando.

Naturalmente l’organizzazione che si trova attorno al lago è encomiabile, ed è per questo che amo l'Alto Adige, ho trovato ben 4 posteggi organizzati con posteggiatore, in cui si posso posteggiare a pagamento le automobili, c’è un autobus che collega il lago alle citta’vicine, un albergo sulla riva del lago, una chiesetta e un noleggiatore di barche a remi con cui fare una gita sul lago.

Non ho trovato immondizie abbandonate nonostante ci fossero tantissime persone e  molti pranzavano al sacco; ci sono toilette pubbliche, e nonostante ci fossero tante persone, non c'erano schiamazzi, tutti ammiravano la natura,  forse il turista della montagna è di natura piu' educato del turista del mare?  






Piedi

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Lo so trattasi di malsana deformazione professionale, non si riesce a resettare neppure quando si esce dal lavoro, si inizia per necessità, si impara a fare l'occhio su quelli dei bambini, per stabilire dei piani di correzione e si finisce col notare i piedi di tutti. Permettetemi di dirlo: la gente cammina male. Secondo me i piedi stanno cadendo in disuso e il poco uso che se ne fa è pure pessimo. E si nota molto più nei giovani che pure dovrebbero essere passati sotto l'occhio spietato del pediatra. Ormai non vedi un dente storto, ma i piedi, quelli sono un disastro, valghi, piatti, quelli che a vent'anni camminano ancora in punta, scarpe destre consumate due volte più delle sinistre o viceversa, indecenti trascinamenti, talloni infiammati a 15 anni, per mesi, per colpa delle puzzolenti scarpe di pezza di una nota marca, che c'era già ai miei tempi, che ha la suola più dritta del mondo, portate estate ed anche in pieno inverno coi fantasmini (sono ricomparsi i geloni che non si vedevano più dall'inverno del 73, quello dell'austerity). E poi le gambe a parentesi tonda di quelli i cui genitori si ostinano, nonostante sia sconsigliato, a mettere nel girello o dei calciatori precoci, ora mica a tutti le gambe a parentesi tonda stanno bene come a Zingaretti e non ce li mettete in piedi quando ancora non sono in grado di reggersi da soli! Le ginocchia ad X degli obesi che porelle non ce la fanno a reggere il carico. A volte mi sento Moretti in Bianca, ma non guardo le scarpe, osservo il contenuto






PS: buon compleanno Cotiche e coticari :) e mille grazie

Incipit: l'imprevedibile viaggio di Harold Fry

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Era un martedì quando arrivò la lettera che avrebbe cambiato ogni cosa. Un normalissimo mattino di metà aprile che profumava di bucato fresco e di erba tagliata. Harold Fry era seduto a far colazione, sbarbato a puntino, con la camicia immacolata e la cravatta, in una mano una fetta di pane tostato che però non stava mangiando. Dalla finestra della cucina guardava il prato tosato, trafitto a metà dal filo telescopico del bucato di Maureen e intrappolato sui tre lati dello staccato dei vicini.
"Harold!" lo chiamò Maureen, urlando per sovrastare il rombo dell'aspirapolvere. "Posta!".
Ebbe la tentazione di uscire, ma l'unica cosa da fare era falciare il prato, e l'aveva già fatto il giorno prima. L'aspirapolvere piombò nel silenzio e apparve la moglie, con la faccia arrabbiata. Si sedette di fronte ad Harold. Maureen era una donna esile, con la zazzera grigia, il taglio a scodella e il passo svelto. All'epoca in cui si erano conosciuti, niente lo rendeva più felice del farla ridere. Guardarla scomporsi in una sfrenata felicità.


Rachel Joyce. L'imprevedibile viaggio di Harold Fry. Sperling & Kupfer.
Traduzione Maurizio Bartocci e Chiara Brovelli


Harold è un uomo allampanato e solo,"nella città, dove la vista poteva spaziare su un orizzonte assai limitato, gli sembrava che tutto potesse succedere, e che in ogni caso lui non sarebbe stato pronto"; in pensione da qualche mese, un'infanzia complicata, una moglie vicina ma lontana
"Ma per anni avevano abitato in un luogo dove parlare non aveva significato. A lei bastava guardarlo per ritrovarsi inchiodata al passato. si scambiavano solo piccole parole innocue, ed erano salvi: restavano in sospeso sulla superficie di quello che si poteva dire, perché era insondabile, impossibile da colmare"
 un figlio molto intelligente, forse troppo e distante; è in questo desolato immutabile contesto che in quella mattina di metà aprile riceve la lettera della sua ex collega che gli comunica che sta morendo affetta da un cancro che ormai non le lascia più speranze. Sono anni che Harold non la vede, ma Queenie è stata una presenza gentile nella sua esistenza.  Harold inizia a cercare delle parole adatte per rispondere a quella lettera che lo ha sconvolto. Dopo vari tentativi riesce a comporre una missiva che esce per imbucare, ma quella lettera gli pesa tra le mani, sa che quelle parole non sono sufficienti a dire a Queenie ciò che in realtà vorrebbe poter trasmettere. Pensa a questo mentre supera la prima cassetta della posta, e poi la seconda e poi l'ufficio postale fino a giungere al confine del suo Paese a sud dell'Inghilterra per iniziare il suo viaggio che lo porterà al confine nord dell'Isola ed al confine estremo del centro di se stesso, come ogni pellegrinaggio che si rispetti. Un viaggio solitario ma pieno di incontri."Gli avevano offerto conforto e riparo, anche se lui aveva paura di accettare; accettando, aveva imparato qualcosa di nuovo: che si ottiene un dono sia nel ricevere sia nel dare, e che c'è bisogno di coraggio ed umiltà in entrambi i casi"


 Un libro delizioso, prevedibile ed imprevedibile come tutte le esistenze, emozionante.

L'amore non esiste

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Non so voi ma io queste tre qua li ho sempre amati molto, perché per me in una canzone è importante la musica, ma sono altrettanto importanti le parole e i loro testi per me hanno sempre un senso che mi spara dritto dentro e funzionano bene singolarmente e funzionano bene insieme e sono davvero amici, quindi ascoltatevi il loro ultimo singolo l'amore non esistequi, se non l'avete ancora sentito, e poi ditemi.

Dieci angeli sul sentiero

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un occhio di qua e uno di là "sforcellando" le fontane


E finalmente spuntò il sole, un sole in grado di farci gridare: "Ai monti, ai monti", si cominciava a dubitare che sarebbe mai più tornato per le ore che vanno dall'alba al tramonto, che si sarebbe per sempre concesso col contagocce (qui le gocce abbiamo smesso di contarle da mesi e mesi). Così studiamo la carta e partiamo per un giro in giornata (perché già per il giorno seguente il meteo sui monti non concede nuovamente nulla di buono e Zaia procederà a giustiziare il previsore ARPAV). Sveglia antelucana, il giro previsto è molto lungo, in parte già noto al 3/4 in parte anche a me. Per andare per monti nell'estate del 2014 però bisogna tener conto, ed ormai l'abbiamo imparato a nostre spese, anche della quantità di frane e slavine che la neve fradicia e pesante caduta in grande quantità e a più riprese per tutto l'inverno ha provocato, che hanno irrimediabilmente snaturato i percorsi di dolomiti e prealpi e reso inagibili molti sentieri; della enorme quantità di alberi schiantati e che solo in parte è stato possibile rimuovere che rallentano la marcia; e di sentieri, da noi percorsi già nel passato, abbandonati e dismessi presenti nelle carte ma non più esistenti, così ti trovi sull'altro versante di una montagna, dopo aver scavalcato ben due forcelle,  rispetto a quello dove hai lasciato l'auto, senza nessun'altra possibilità di ritornare alla macchina se non facendo a ritroso molto cammino e dovendo ripassare per sentieri accidentati durante l'attraversamento dei quali hai snocciolato irripetibili litanie. Allora decidi, vada come vada, scenderai dalla parte del monte più distante dall'auto e cercherai un passaggio in autostop fino al primo paese dotato di servizio di corriera e poi cercherai una coincidenza e prima o poi tornerai indietro, ma giuri a te stessa "indietro per dove sono passata proprio no". Ed è durante quella discesa che ti imbatti in un gruppo di angeli, 4 adulti e 6 bambini, diretti al rifugio che era lì a ridosso di dove il sentiero era sbarrato dai nastri rossi dei vigili del fuoco e dall'ordinanza del sindaco e che tu invece immaginavi più in basso perché pensavi di essere su di un sentiero traverso  più alto che invece non esiste più e perché non era minimamente segnalato. Chiedi se hanno informazioni sul sentiero franato, spieghi la tua situazione e gli angeli in coro cantano: "Alleluja venite con noi al rifugio prendiamo qualcosa, poi scendiamo insieme e vi riportiamo noi all'auto". Mai musica parve più celestiale. I soldi per la bevuta comunitaria sono i soldi meglio spesi di tutto l'anno, la compagnia è gradevole e tu intoni un gloria ai dieci angeli sul tuo cammino quando a sera ti lasciano all'auto, poco importa se gli scarponi nuovi hanno lasciato dolorosi segni di sè sui tuoi piedi

Vedi alla voce: LUTULENTO

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Padova Orto Botanico primavera 2013



Zingarelli 1996:

Lutulento: pieno di loto: acqua lutulenta
                 fangoso

Lutulento alla maniera impressionista, secondo le anziane cinesi, secondo focus, secondo fotocommunity, secondo Labokoff, secondo Dany BNS.

E poi per Damigiana: alla maniera di  Faber
E poi per Oriana: alla maniera lucchese 
E poi per Silvia: forniamo strumenti agli stroncatori contro gli autori lutulenti 


e secondo voi? Inserite nei commenti i vostri link ad immagini, versi, musica che vi ispirano questo termine ed aggiorneremo la voce

Cestino di pani croccanti ai cereali e rosmarino

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Dovete sapere che negli unici giorni di sole delle mie, non ancora concluse, ferie, sono stata ospitata, insieme al 3/4 da donna Sandra e dalla sua band nella splendida magione in cui risiede. Se non avete idee precise di dove trascorrere le vostre future vacanze e vi va un ritorno alla campagna con Firenze ad un tiro di schioppo, una idea ve la fornisco io: andate a Casa Brunelleschi la piccola depandance di casa di Sandra, il paradiso della quiete, che Nostra signora della Pasta Madre mette a disposizione come casa vacanze e se poi volete farvi un regalo fatevi preparare anche la cena da lei che come ben sapete è una splendida cuoca, tornerete grassi e felici come lattanti all'ovile.
Dunque veniamo all'argomento del giorno, la Carciofona quando ci si mette è peggio di un tarlo, ed essendosi fissata che dovevo darmi alla panificazione più seriamente di quanto io faccia abitualmente (uso una straordinaria macchinetta del pane da anni che non mi tradisce quasi mai) deve aver messo qualcosa, stile siero del panificatore, nell'acqua con cui ha impastato i ravioli di magro che ci ha servito la seconda sera per cena, così sono tornata con 'sta frenesia da fornarina e ne sono usciti fuori questi risultati



100 gr di semola di grano duro
100 gr di farina tipo 0
100 gr di farina ai cereali
50 gr di farina Kamut
1 cucchiaio di olio e.v.o
1 ciottolina di emulsione olio e.v.o e acqua
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di sale
2 rametti di rosmarino
12 gr di lievito di birra
250 cc di acqua calda

Nella planetaria (la mi mamma ha fatto i punti del supermercato e non sapeva cosa pigliare come premio) ho messo le farine setacciate, il sale e tutta l'acqua eccetto il contenuto di una tazzina da caffè in cui ho stemperato il lievito e lo zucchero. Ho aggiunto quindi il lievitino ottenuto all'impasto di farina ed acqua ed ho fatto impastare alla planetaria con il gancio a velocità crescente fino ad ottenere un "mappazzetto" che dovrà staccarsi con facilità dal gancio (nel mio caso ho dovuto aggiungere poca poca farina per ottenere il risultato voluto.
Ho posto la creatura tiepida ed elastica nel forno spento, chiuso per benino e l'ho intabarrata perché non pigliasse freddo e l'ho tenuta in culla termica per 3 ore e mezzo.
Era diventata un mostro, non la si riconosceva più, ENORME!
Ho diviso in due parti l'impasto, ad ognuna delle due parti ho aggiunto le foglie di un rametto di rosmarino finemente sminuzzate, poi metà l'ho rimessa al chiuso, l'altra metà l'ho stesa col mattarello sul tavolo coperto di carta da forno lievemente infarinata e ne ho ricavato un rettangolo sottile ma senza esagerazione, da questo rettangolo ho ottenuto, tagliando col coltello, delle strisce di circa 1cm ed alcuni quadrati. Ho avvitato le strisce su se stesse ed ho messo il tutto sulla placca del forno, nel forno spento a riposare per un'altra mezzora, farsi avvitare, è noto, stressa. Poi ho preso l'altra metà dell'impasto ne ho ricavato 4 pagnottelle ed ho messo pure loro a nanna.
Passata la mezzora ho tirato giù tutti dalle brande, ho scaldato il forno (il mio è ventilato, la Sandra dice che per il pane non è il massimo, tristessa) a 200° e dopo aver spennellato tutte le creature con l'emulsione di olio e.v.o ed acqua le ho messe in quell'inferno. Tuttavia sembra non se ne siano avute troppo a male, sono uscite dorate al punto giusto dopo circa 20'. Il 3/4 ha detto che se questi sono i risultati mi porta più spesso a farmi drogare dalla Sandra.


... e poi non ne rimase più nessuno

Ed ora fatemelo scrivere altrimenti quella viene su e mi mena (perché bona l'è bona come il pane, ma se mena.... fatevelo raccontare dal mezzo pompelmo): con questi panetti partecipo alla raccolta di PANISSIMO (una iniziativa per panificatori compulsivi di Sandra e Barbara) di questo mese



Asimmetrie2

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Gabriel Pacheco



Il cielo aveva il colore dell'estate che agonizza e paradossalmente la feriva ed immalinconiva più dei cieli nuvolosi ed autunnali dei giorni precedenti, si sentiva defraudata del diritto di scaldare le ossa nei pochi giorni dedicati alle ferie, aveva la necessità di sentire la pesante leggerezza delle ore calde e vuote dell'estate. Durante l'estate gli intervalli tra i loro incontri si dilatavano e poiché finivano col sentire la mancanza del profumo di un polso, del sapore della pelle, del colore di una lacrima, del suono di una risata, delle stupidaggini che si dicevano per riempire le pause dell'amore, lui prese ad inviarle buffe cartoline anni 70, di quelle con scritto "saluti da..." e tutte le vedute, ci metteva solo una frase, senza la firma. Lo sapeva in un mare del sud del mediterraneo dove l'estate aveva ancora i profumi prepotenti della terra e del mare scaldati dal sole, lo sapeva felice e questo doveva bastarle, ma così non era e quindi per sedare i morsi di quella crescente sensazione di vuoto si comprò un biglietto  e tornò nella città in cui tutto aveva avuto inizio ed alla loro panchina. Più si avvicinava alla piazza, più analizzava le differenze nel modo di vivere il loro rapporto, quelle asimmetrie, inevitabili come il singhiozzo di un neonato, dovute ai loro caratteri ed alle loro vicende umane. Forse sarebbe stato giusto porre fine ai loro incontri; chiudere prima che la passione si spegnesse, ma ogni volta che lei ci aveva provato, sentiva di non poter rinunciare a quella fonte di energia vitale. Si sedette sulla panchina, il cancello della scuola di fronte era chiuso, nessuno animava il giardino pieno di voci il mattino del loro primo incontro. Provò a sfogliare le pagine del libro che stava leggendo in treno per cercare di galleggiare sopra ai pensieri cupi che le affollavano la mente, scorreva e riscorreva la medesima pagina senza riuscire a tacitarli, poi abbassò lo sguardo e sulla panchina scorse una frase scritta con un pennarello "mi troverai dove la terra odora di promessa d'estate" ed era inconfutabilmente la sua calligrafia. La panchina era posta all'ombra di un tiglio il cui profumo lei gli aveva sempre detto sapeva di promessa d'estate, così sorridendo iniziò la breve caccia al tesoro, quasi alla base del tiglio, nascosto tra i polloni c'era un biglietto protetto da una busta di plastica colorata, lo aprì e capì che non era ancora giunto il momento di chiudere con quell'uomo che, non capiva come, sapeva sempre leggerle dentro, avrebbe aspettato il suo rientro e una nuova stanza d'albergo.


Qui il primo capitolo

Per mano dematerializzata

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Finirò la mia prima settimana di lavoro dopo le ferie uccisa, e ricordate vi lascio queste poche righe come indizio qualora mi succedesse qualcosa, la colpevole sarà sicuramente lei: la ricetta dematerializzata. Lei la subdola, incorporea, invisibile, ma solo a tratti, ricetta. Lei che dovrebbe risolvere gli sprechi, favorire i controlli, evitare gli "inciuci", proteggere le foreste dalla devastazioni; lei avrà la meglio su medici di medicina generale e su pediatri di base, e su tutti i loro segretari prima che loro riescano ad aver la meglio su di lei. E' una guerra senza quartiere che non fa prigionieri, lascia cadaveri sul cammino. Il Veneto si sa, in fatto di sanità è all'avanguardia, e quindi eccoci qui in prima linea con armi di terza mano che neanche ai curdi se ne sono fornite di così spuntate Il problema è che la ricetta dematerializzata (chiamarla virtuale o elettronica che così capivano tutti pareva brutto; così come non si dice vidima il biglietto del tram o timbralo punto e basta, ma si dice OBLITERALO) la ricetta senza carta dunque, quella carogna, a volte decide di palesarsi e sul computer, in cui quel meschinello del programma dal primo settembre vomita decine, decine e decine di aggiornamenti - solo nella giornata di ieri 62! -, compare la scritta assassina, più subdola del martire agognante le 69 vergini, nascosta tra quintali di ricette ancora inevase da mandare in stampa.
APERTA PARENTESI
Ora voi piccoli lettori vi domanderete: che devi stampare se la ricetta è elettronica? ebbene miei cari lettori vi risponderò:
1) devo comunque stampare le impegnative per le visite perché al momento sono elettroniche solo le ricette per i farmaci non quelle per le visite specialistiche eccetra eccetra eccetra
2) devo comunque stampare un promemoria in carta bianca per il paziente, addio salvezza per la foresta vergine
CHIUSA PARENTESI
La scritta assassina recita:" attenzione il numero attribuito alla  ricetta dematerializzata non è valido come vuoi procedere?" e qui si apre un dedalo di percorsi che nascondono infidi tranelli ovunque su cui il povero medico, che ormai inizia a colare sudore copiosamente da ogni poro, rischia di finire impelagato con baionette, scimitarre e pugnali pronti a trafiggerlo.
Intanto che quello, il povero medico ormai ridotto all'ombra di quello che gioiosamente aveva varcato la soglia dell'ambulatorio in un soleggiato lunedì pomeriggio, risale la lunga teoria di ricette che attendono di giungere alle mani dei pazienti che cominciano a non aderire più al significato semantico con il quale vengono appellati, si sa anche la pazienza del paziente ha un limite, la stampante si ingolfa, si impunta, tossisce, e defunge lasciando il medico in balia del paziente depazientato che, come ben capirete è più pericoloso della ricetta dematerializzata.
Quindi:
primo sappiate che vi ho voluto bene
secondo l'assassino è venuto per mano dematerializzata

Amanda amanda est

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 Gerundivo del verbo amare:



Singolare     Plurale


Nominativoamandus, amanda, amandum     amandi, amandae, amanda


Genitivoamandi, amandae, amandi     amandorum, amandarum, amandorum


Dativoamando, amandae, amando     amandis, amandis, amandis


Accusativoamandum, amandam, amandum     amandos, amandas, amanda


Ablativoamando, amanda, amando     amandis, amandis, amandis



Provate voi ad entrare nell'adolescenza, foriera di insicurezze strutturali, dopo aver attraversato l'infanzia negli anni a cavallo tra la fine degli anni 60 e l'inizio dei 70 chiamandovi Amanda, provate; è vero che ciò che non uccide fortifica, ma è anche vero che il troppo stroppia e quante vessazioni si possono subire per il solo fatto che i vostri genitori  cercavano un nome con la A, per tradizione familiare paterna, non avevano messo il minimo di fantasia nel battezzare vostra sorella, chiamandola praticamente come vostro padre e come il santo patrono della vostra città, ed  erano afflitti dai sensi di colpa per avervi spiattellata così per un eccesso di fantasia, ditemi, quante?
Se ti chiami Amanda, diciamo nel 1970, risulti un esemplare rarissimo, non dico l'unico perché poco dopo di te Paoli e la Sandrelli chiamano così la loro figlia, ma quella per l'appunto avrà da spupazzarsi i problemi suoi, a essere figlia di due genitori noti, ma nessuno creerà malsane filastrocche in rima per sfotterla che si allungano di giorno in giorno urlate in coro da circa venticinque bambini, con le loro vocette stridule che risuonano per tutto il cortile; così il giorno in cui la filastrocca diventò

amandachesileccalamutanda
alsaporedilavanda
nellaveranda
dellaziajolanda
mentresuonalabanda
originariadellolanda


la misura fu colma e, incapace di reggere oltre, mi ritirai sull'Aventino a piangere tutte le lacrime che ero in grado di produrre ed anche oltre; fu uno di quei momenti in cui vale la pena di avere una sorella di sei anni maggiore e con una notevole competenza nell'uso della parola come arma d'attacco.
La suddetta sorella, che si faceva notare sulla spiaggia essendo rossa, lentigginosa e sempre con il libro in mano, mentre gli altri bambini si dividevano tra piste di biglie, bandiera e castelli di sabbia, solo qualche anno prima aveva smontato un tipetto insistente che ogni due per due veniva al nostro ombrellone a chiedere come si chiamasse, distraendola dalla lettura, il poveretto non poteva immaginare minimamente cosa significasse distrarre mia sorella dalla lettura e a quali pericoli per la sua incolumità stesse andando incontro, così all'ennesima richiesta mia sorella levò lo sguardo e rispose: "mi chiamo Ina Igina Gina Ermenegilda Salus Sallustri Savis per gli amici Clelia". Mia madre non capì mai perché ogni tanto ci fosse un ragazzino che rincorreva mia sorella chiamandola Clelia, ma da allora e per molti anni per i suoi amici lei fu Salus. Dunque capirete che riponevo grandi speranze nelle sue capacità dialettiche, e infatti partorì. Dopo circa venti minuti con la faccia lavata, le spalle dritte e lo sguardo di sfida che mi aveva fatto provare diverse volte davanti allo specchio fino ad essere credibile, scesi in cortile e quando partì il coro con la filistrocca, 115 cm circa di bambina si bloccarono, le braccia sui fianchi, lo sguardo quasi perfetto ed esclamarono: "il tuo discorso non mi tange ma cade nel binario più morto della mia indifferenza". Secondo me ventitrè bambini su venticinque non capirono nemmeno cosa stessi dicendo, ma non ebbero il coraggio di chiedere spiegazioni, nessuno ripetè mai più la filastrocca che finalmente cadde nel dimenticatoio. Passai quindi serenamente gli anni seguenti, domandandomi sempre e comunque perché pur essendo già stati usati Alberta, Anna, Alba, Annalisa, Antonella, non potessi chiamarmi semplicemente Alice o Ada o Alessia, anche perché troppo spesso Amanda si trasformava in Armanda che diciamocelo non è mica la stessa cosa. Cominciavo a farmene una ragione e  poi arrivò lei Amanda Lear e il calvario riprese inesorabile con quella storia del presunto cambio di sesso non ebbi più pace; venne il mio sedicesimo compleanno: i miei amici mi regalarono dei dischi e per incartarli andarono al cinema a luci rosse della città e si fecero dare la locandina di un film che si intitolava amandaovverolevogliediunasedicenneincalore
voi capite che una si fa una risata e la prende con ironia, ma indubbiamente chiamarsi Lucia è più semplice. Da ultimo all'inizio del nuovo millennio uscì il prototipo di una bambola gonfiabile, dicono di particolare pregio, secondo voi come potevano chiamarla?
E quando  le pruderie sul mio nome infine cessarono giunse la Knox e a questo punto era meglio la Lear.
So per certo che due bambine furono chiamate Amanda a causa mia: una era la figlia di un signore che lavorava con mio padre che mi chiese, quando sua moglie attendeva la secondogenita se mi dispiacesse se l'avessero chiamata col mio nome, come se avessi l'esclusiva, l'altra, ancora più sorprendentemente la incontrai come mia paziente in ospedale. Le dissi "sai che anch'io mi chiamo Amanda" il padre dopo aver guardato il badge con il mio nome e cognome ridendo disse "è colpa sua se si chiama così", rimasi basita, io quell'uomo non l'avevo mai visto. Lui mi rivelò di essere entrato in ufficio da mia madre, che lavorava allora in un'altra città in provincia, nel periodo in cui stavano decidendo che nome dare alla bimba che aspettavano e di aver sentito mia madre che stava parlando con me al telefono che mi salutava e di essersi innamorato di questo nome tanto di decidere di chiamare così la bimba; confido in loro o nella prima Amanda astronauta, fisica o cantante lirica per trovare pace per la categoria.
Non aggiugerò altro, ma vi confesso non cambierei il mio nome per niente al mondo, come ho avuto già modo di dire più che un  nome è un programma di vita

Arridatece la rotella

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Succede che una mattina si vada ad aprire il frigo e lo si trovi temperatura serra delle orchidee e si cacci un urlo, un blob bianco giallino cola, in memoria del fu panetto di burro, il lievito di birra si è fidanzato con le muffe dello yogurt, i formaggi si sono tutti francesizzati, il terrore ti attanaglia ed urli alla Munch "il freezer!!!!", lo apri e quello funziona sereno. E tu ti dici: "accidempolina che svampita devo aver lasciato la porta aperta*". Il 3/4 sostiene a rinforzo della tesi che troppo internet è l'anticamera dell'Alzheimer e tu te ne fai una ragione. Dopo qualche mese la cosa si ripete, la scoperta la fa il 3/4 che esclama "perbazzo** è così difficile prestare attenzione alla porta del frigo? Dove cavoletti** la tieni la testa?" Io questa volta muovo, dopo essermi girata un intero film in rewind per stabilire che effettivamente ero stata io l'ultima utilizzatrice del frigo, qualche dubbio sul fatto di averla scordata aperta. Al terzo episodio perfino il 3/4 comincia a dare chance alla mia salute mentale e quindi iniziamo a fare prove svitando la lampadina, controllando se la porta chiude bene il contatto con la lampadina, il frigo viene posto sotto stretta sorveglianza che neanche la CIA sa fare di meglio. Effettivamente l'infame perde colpi, ora 21 anni per un frigo son 21 anni, ma per dire quello dei miei ne ha 30 e sembra un giovanotto, andiamo presso un centro assistenza sicuri della sentenza che ahimè è tale e quale a quella di John lo sgozzatore, come sapete i tecnici dei centri assistenza sono stati istruiti in una scuola jihadista in Siria. Quindi inizia la ricerca del nuovo frigo e l'Amleto che è in noi prende il sopravvento: incasso o non incasso? no frost o non no frost? (Qui mi impongo no frost sopra e sotto che di sbrinamenti non ne voglio sapere). Calcoliamo spazi, tempi modi ma le zucchine implorano rapidità di intervento. Andiamo in uno di quei centri, dove a vedere la quantità di gente presente e acquistante a qualsiasi ora pare che la crisi non esista, e scegliamo. Dopo 3 giorni con la roba del freezer in vacanza dai nonni e quella del frigo in vacanza dalla zia, che per cucinare pare di fare la millemiglia, arriva LUI. Due rumeni -con i quali non vorrei attaccar brighe per un posteggio rubato, neanche dipinta - gentilissimi, si fanno i 4 piani di scale con il monolite sulle spalle, stile Obelix, però con la grazia con cui Caroline Kostner esegue un triplo axel e lo posano in cucina, il gatto teme il nuovo totem e per ore si rifugia in soffitta. Ligi agli ordini impartitici (chi avrebbe mai sgarrato ai consigli di quei due? Sai mai che tornino e ti impignattino) accendiamo dopo 12 ore il monolite ammirandolo con sguardo reverenziale e attendiamo di poterlo riempire. Ad un certo punto l'elegante display indica che si è raggiunta la temperatura desiderata, nell'aprire la portella però pare di salire in auto in una mattina di mezza stagione dopo che l'auto è stata in garage (nessuna differenza o davvero minima) il motore tuttavia tace soddisfatto di aver raggiunto il suo obiettivo, allora mi domando quale possa essere di questi tempi l'obiettivo di un frigo, perché strada facendo anche i frigoriferi possono aver perso i loro obiettivi. Spegniamo, reimpostiamo, riaccendiamo e niente dopo due minuti di funzionamento quello si impianta nuovamente perché ha deciso di essere a temperatura. Sconsolati torniamo in negozio, dopo due ore di carteggi otteniamo il cambio con l'ultimo esemplare rimasto in magazzino,  per il giorno dopo, oggi, rimandiamo in vacanza la nostra spesa e ci apprestiamo a sederci a tavola per la cena, quando squilla il telefono. La sconsolata commessa del grande magazzino che aveva passato ore a compilare carte ci avvisa che l'esemplare in magazzino è bozzato quindi per venirci incontro ci forniranno il modello maggiore allo stesso prezzo, diversamente dovremo aspettare un'altra settimana un esemplare uguale al nostro, ci fiondiamo in negozio ad ispezionare, vagliare e firmare altre carte ed ora attendiamo i due rumeni che ormai ci odieranno a morte perché in tre giorni per causa nostra si saranno portati su e giù per 84 scalini 4 frigoriferi. Sperando che il monolite nuovo scenda a compromessi col suo computer di bordo; domanda: ma che aveva di male la rotella del termostato dei vecchi frigoriferi?

* usate il traduttore di google
** usate il traduttore di google dall'italiano aulico all'italiano naturalizzato veneto

A mille ce n'è

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Gabriel Pacheco



Molto tempo fa ho avuto la fortuna di creare due piccoli racconti insieme al mitico Giardi, il quale possiede un'immaginazione ed una grazia nel fare affacciare dalle pagine del suo blog tipi umani e situazioni che meriterebbero di abitare in uno scrigno cartaceo ed di avere il profumo dei caratteri stampati; è stata, come ho già avuto modo di dire, un'esperienza bellissima vedere come io andassi giù di accetta e lui cesellasse magistralmente, riuscendo a spiazzarmi spesso. Poi mi è capitato di farmi influenzare da una foto di Lilluzzo per scrivere ancora una piccola cosa. Inoltre mi capita spesso di aggrapparmi a ciò che mi raccontate  per scrivere i miei biglietti di auguri per quelli di voi che hanno saputo conquistare un posto speciale nel mio cuore. Qualche mese fa Io ha bussato alla mia casella di posta  parlandomi angosciata di Bellie che cercava un finale ed io ho iniziato a cercare Bellie che manco la Sciarelli in una delle puntate più seguite di Chi l'ha visto ci ha messo lo stesso impegno.
Qual è il senso di quello che sto cercando di dirvi? Fatemi felice: mandatemi qualche suggestione sia che si tratti di una idea che vi frulla per la testa di una storia, sia che si tratti di una immagine o del testo di una canzone o di una musica e spiegatemi perché e facciamoci suggestionare insieme per scrivere delle storie. Vi va?
Molti di voi sanno già come contattarmi, gli altri possono farlo scrivendo che vogliono farlo qui sotto nei commenti o tramite google friends connect che è poi il sistema più semplice, fatemi giocare

Erba dei muri

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Erba dei muri

Da una crepa di muro dove il vento
portò pochi granelli di polvere
(null'altro occorse per la tua radice)
fiorisce la tua esile bellezza.

Accarezzo le tue foglioline,
tocco il tuo stelo delicato.
Non conosco il tuo nome
ma ti chiamo speranza

e a te vorrei piuttosto somigliare
che alla rosa o all'alloro - a te intrepida,
stupendamente viva
sul tuo sfondo d'arsura e di pietra.
 
 Margherita Guidacci



Labokoff
La bambina che ero è giunta qui, dove ora si trovano queste ossa e questa carne violata, nel tardo pomeriggio di fine autunno, è stata la fine della mia vita, ora esisto, l'aria entra ed esce ad ogni respiro, potessi esalarne anche l'ultima molecola, porrei fine a tutto. Avevo quindici anni e credetemi, ora lo so, ritenevo di essere donna, ma avevo piccole ali con cui facevo brevi voli fuori dal nido. Il mio nido era caldo ed accogliente, mia madre mi ha ricevuta come un dono prezioso, mio padre con lo stupore che si deve ad una vita a cui doveva protezione e rispetto e che da te dipende, ma tutto il loro amore, che mi aveva regalato radici forti, non è bastato a proteggermi dall'orrore. Sono venuti in quella mattina di fine estate, erano armati e urlavano, sono entrati nella scuola dove avevo imparato a leggere e a scrivere, le chiavi che ti permettono di crescere e viaggiare, hanno ucciso l'insegnante e ci hanno rapite, trascinate come si fa con bestiame verso il macello, soppesate dagli sguardi, dalle mani, mi indignava la mancanza di rispetto ben oltre la paura che provavo. Poi ho capito che l'indignazione è un lusso che non potevo più permettermi, che apparteneva ad una vita che moriva quel giorno,che un mio stesso sguardo diretto poteva essere l'arma che mi avrebbe uccisa, ed ho abbassato gli occhi, sulle loro scarpe polverose, su quelle mani da ragazzi, che reggevano armi quando avevano l'età giusta per imparare i gesti dell'amore. Ci hanno picchiate e caricate su un camion e ci hanno portate via, le nostre lacrime impastavano la terra sollevata. Siamo passate di mano in mano, di banda in banda, ci hanno divise, ho visto alcune mie compagne morire per una lacrima, per una parola, per un singhiozzo. Conoscevo la bellezza, la grazia, la curiosità, la libera scelta,  ora sono schiava, nulla di me mi appartiene, nemmeno i miei pensieri. Mi rendo conto che questi mesi hanno fatto vacillare le mie certezze, accuso chi ho amato di non cercare soluzioni, di essersi arreso, di non venirmi a cercare perché è questo che loro mi sussurrano all'orecchio mentre usano il mio corpo. Non ho voce, nè parole adatte a raccontare l'abisso in cui sono caduta a causa di molte mani, di molte bocche, di molti sessi. Io che sognavo l'amore, che immaginavo il giorno in cui sarei sbocciata come la rosa e che avrei abbracciato il mio sposo odoroso di alloro, sandalo e tabacco, sogno di perdere questo grembo, questo corpo e di farmi aria e di disperdermi, chiedo solo che finisca. So che è giorno, poi che è notte, ma quanti ne siano trascorsi da quella mattina di fine estate me lo ha sussurrato agli occhi solo l'erba cresciuta nella crepa del muro della catapecchia in cui mi trovo, ha tenere foglie che raccontano di una stagione nuova e mi commuove pensare che la grazia della vita normale ha ancora posto nel mondo, che un nuovo ciclo è iniziato, che c'è vita oltre il dolore: è primavera dunque, il tempo della speranza ed a questa pianta nuova che vorrei somigliare.


per Alberto vedi qui perché
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